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Come il cacio sui maccheroni - 1 DI 2
La Robiola di Roccaverano D.O.P.
Profumi, aromi e gusto di un caprino per veri intenditori!
Dov'è
Questo delizioso formaggio caprino prende il nome da Roccaverano, un piccolo paese di antichissima origine. Capoluogo della Langa Astigiana, allo sguardo di chi arriva si presenta abbarbicato a 800 metri di altitudine su di un mare di colline terrazzate. Un’area ancora poco conosciuta che racchiude scorci e scenari paesaggistici incantevoli, oltre a preziosità agroalimentari da rivalutare.
Gli ingredienti di un prodotto eccezionale
La produzione di questo straordinario formaggio è legata ad una produzione di fattoria, con l’utilizzo di latte crudo. Questa consente di far emergere una varietà di sottili aromi e sapori, conseguenza della diversità dei pascoli e dei foraggi con cui si alimentano gli animali. La Robiola di Roccaverano è il primo formaggio caprino che ha ottenuto la D.O.P., nel 1996, ma ha origini molto più antiche: ci sono testimonianze che la fanno risalire addirittura al periodo celtico-Iigure.
Come per i grandi vini, anche per questa DOP il terreno, l’altitudine e l’esposizione producono differenze importanti. Il latte racchiude il gusto della terra, dei fiori, dell’erba, della flora batterica del pascolo. La vicinanza con il Mar Ligure, e quindi l’influenza del vento di Scirocco, determina il clima mite e fa crescere alcune essenze tipicamente mediterranee: il rosmarino, la salvia, l’alloro, ma anche le specie erbacee spontanee dei cosiddetti «pascoli della robiola».
Una storia di dedizione e resistenza
Per la produzione della Robiola di Roccaverano è utilizzato anche il latte di una razza autoctona, elencata tra le razze locali a rischio di estinzione: la capra di Roccaverano. L’isolamento di queste colline facilitò lo sviluppo di questa preziosa razza locale, tuttavia, intorno al 1970, la consistenza del numero dei capi di questa popolazione caprina calò in maniera preoccupante, fino a rischiare di scomparire.
Fortunatamente, a Roccaverano non è accaduto l’irreparabile, grazie soprattutto alla presenza dei piccoli produttori, che hanno mantenuto forme di allevamento con l’utilizzo del pascolo anche per 8 o 9 mesi all’anno. Questa dedizione ha permesso la conservazione della razza e oggi ne consente il rilancio.
Il fascino di questo formaggio nasce dunque dal legame secolare con il territorio e dalla resistenza dei piccoli allevatori, che hanno continuato a caseificare in proprio. Oggi, la Robiola di Roccaverano è prodotta da una sessantina di piccole aziende (e da un numero imprecisato di realtà per il solo consumo diretto) ed ha conquistato un posto sul mercato della qualità, anche al di fuori del Basso Piemonte. Qui è nato il Presidio Slow Food della «Robiola di Roccaverano Classica» e sono una decina i produttori che hanno scelto l’agricoltura biologica.
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Il Castelmagno, re dei formaggi piemontesi
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